A seguito dell’acquisizione di Novero da parte del gruppo Marcegaglia abbiamo intervistatoRoberto Ferrari, chief operations officer di Marcegaglia Carbon Steel tube division e Presidente di Marcegaglia-Novero SpA.
Marcegaglia è azienda leader nel mondo dell’acciaio: in che modo l’acquisizione di Novero ne rafforza la posizione e quale opportunità di sviluppo genera la nuova grande capacità produttiva nel settore dei tubi trafilati? Si tratta di un’operazione finalizzata all’aumento della capacità produttiva del gruppo, e di Marcegaglia Carbon Steel nello specifico, nell’ambito della produzione dei tubi trafilati: all’interno del network Marcegaglia i tubi trafilati sono lavorati nello stabilimento di Boltiere, che realizza delle performance produttive molto alte (solo nel 2017 ha registrato un livello di produzione pari a sei volte l’output di Novero). Partendo da questi risultati si è sentita l’esigenza di ampliare la capacità produttiva e il gruppo ha optato per la scelta di acquisire Novero SpA. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a produrre 100mila tonnellate di tubi trafilati a freddo in Italia. Inoltre, come è emerso durante la due diligence, l’operazione assume un valore strategico importante in quanto Novero è già cliente di Marcegaglia Casalmaggiore, che produce i tubi sbozzati che alimentano sia l’unità produttiva di Boltiere, sia di Novero. Pertanto, questa acquisizione rappresenta anche una scelta positiva in termini di verticalizzazione produttiva che, grazie all’aumento di produzione programmata di Novero, permette una riduzione dei costi di Marcegaglia Casalmaggiore.
Novero ha base a Rivoli (TO): quali sono le ricadute di tale acquisizione per il territorio piemontese? Marcegaglia ha anche uno stabilimento a Dusino San Michele: che ruolo gioca il Piemonte nelle strategie produttive dell’azienda? Le acquisizioni che hanno contribuito a triplicare la produzione dello stabilimento di Dusino San Michele hanno a loro volta determinato un aumento del numero dei collaboratori. Su questa base, anche l’operazione Marcegaglia-Novero potrebbe generare un aumento della forza lavoro. Riteniamo che la produzione in Piemonte sia importante per la localizzazione, anche se entrambe le aziende sono rivolte fortemente all’esportazione.
Il mondo dell’acciaio si sta preparando ad affrontare nuove sfide, prima fra tutti quella dei dazi: quali sono gli scenari possibili secondo lei? In più occasioni il nostro gruppo si è espresso in senso contrario rispetto alle posizioni protezionistiche che con l’imposizione di dazi su alluminio e acciaio favoriscono i produttori, oltre a rischiare di danneggiare pesantemente l’occupazione nel nostro Paese. Da parte nostra, in quanto “trasformatori” – lavoriamo annualmente oltre cinque milioni di tonnellate di acciaio – abbiamo chiesto in Federacciai di utilizzare la clausola di salvaguardia, applicando una «quota globale» all’import di coils a caldo in Europa in compensazione di quello diretto negli Stati Uniti, mentre in Eurofer si opta per una quota «per Paese», che penalizzerebbe i trasformatori come noi, alzando i prezzi per l’industria della trasformazione. Questo è il motivo che ha generato il nostro dissenso verso la linea che si è imposta in Federacciai, favorevole all’introduzione di quote per l’importazione di acciaio diverse da Paese a Paese sulla base del livello dell’importazione media negli ultimi tre anni, visto che parte della produzione bloccata dai dazi americani (circa il 25%) si riverserà in Europa. Marcegaglia è in linea di principio contraria ai dazi, in particolare se praticati per favorire i produttori. Non bisogna perdere di vista il fatto che l’Italia è deficitaria sulla bilancia produzione-trasformazione, nel senso che produce molto meno acciaio di quello che trasforma, con canali di acquisto extraeuropei attivi da anni. Di norma il protezionismo porta a una maggiore inflazione e, quindi, a un danno per il consumatore.
A seguito dell’acquisizione è stata annunciata una maggiore produzione di tubi trafilati, per un giro di affari superiore ai 40 milioni di euro. Perché i tubi trafilati svolgono un ruolo così importante nel settore dell’acciaio e del tubo? Il tubo trafilato, da tubo saldato ERW, sta registrando tassi di crescita interessanti in quanto è incrementata la domanda di questo prodotto da parte del settore automotive, della cilindristica e di molti altri. Inoltre, grazie alle innovazioni di processo, oggi si possono realizzare forme di tubo trafilato molto particolari e differenti dal tradizionale tubo tondo, che rispondono al meglio alle richieste del mercato.
Dal 9 al 13 ottobre 2018, a Fieramilano Rho, andrà in scena la 31esima edizione di BI-MU, che presenterà un focus speciale su Internet of things, big data, cybersecurity, cloud computing, realtà
aumentata, system integrator, additive manufacturing, vision e systems control. Sono oltre 850 le imprese che hanno già aderito alla manifestazione.
Il 19% in più rispetto allo stesso periodo per la scorsa edizione. Di queste 850 imprese, 343 sono estere e provengono da 24 paesi diversi. Numeri molto positivi per una manifestazione
che si prepara a ricevere oltre 70.000 visitatori dall’Italia e dall’estero.
Anche la superficie espositiva totale prenotata risulta in aumento: ad oggi è del 12% in più rispetto all’edizione precedente. Una crescita decisamente rilevante che segue l’andamento del mercato
italiano arrivato al top del valore di consumo.
Ma il dato più significativo per la mostra arriva dalle iscrizioni di nuovi espositori che rappresentano il 27% del totale. Numeri che dimostrano come la scommessa
degli organizzatori, che hanno ampliato il repertorio tecnologico della fiera “aprendo” al mondo del digital manufacturing e delle tecnologie abilitanti, oltre che della consulenza, ha ben
intercettato l’interesse dei nuovi player del manifatturiero, e non solo, che hanno risposto numerosi.
La nuova interpretazione della manifestazione ha trovato il pieno apprezzamento delle imprese appartenenti sia ai settori tradizionalmente presenti in fiera sia ai nuovi settori quali quello
dell’IoT, esposto nell’area Fabbricafutura e della consulenza, presente nell’area Box Consulting.
Patrocinata da SIRI, è poi Robot-Planet, area di innovazione, dedicata a robot, industriali e collaborativi, integratori e sistemi di automazione.
Tra le novità, anche BI-MU Startupper, dedicata ai giovani innovatori e alle neo imprese impegnate nello sviluppo di prodotti e progetti legati al mondo dei sistemi di produzione e della lavorazione del metallo. BI-MU Startupper permetterà a BI-MU di trasformarsi in un campo di confronto tra consolidati modelli industriali e nuove visioni di business.
A queste aree si aggiungeranno: Club Tecnologie Additive curato da AITA-Associazione Italiana Tecnologie Additive; l’area Potenza Fluida che metterà in mostra il meglio dei sistemi e componenti
per la trasmissione di potenza meccanica e fluidodinamica; Focus Meccatronica; Il Mondo Della Finitura Delle Superfici, dedicato alla più qualificata offerta di macchine e sistemi per la finitura
e il trattamento delle superfici.
Per la prima volta nella sua lunga tradizione di manifestazione fieristica B2B, BI-MU abbinerà inoltre alla dimensione espositiva quella di approfondimento culturale tematico sviluppato non soltanto attraverso il “classico” cartellone convegnistico ma grazie ad un ricco programma di eventi collaterali che animerà BIMUpiù.
Vera e propria arena allestita all’interno del padiglione 13 della manifestazione, BI-MUpiù, per tutti i giorni di mostra proporrà: incontri, confronti a due, performance, approfondimenti a cura degli organizzatori e degli espositori. Accanto agli eventi di approfondimento culturale curati dagli organizzatori della manifestazione (uno per giorno), nello spazio BI-MUpiù, che accoglierà fino a
cento persone, gli espositori potranno presentare, in 20 minuti, il meglio della propria offerta. Il cartellone degli eventi è ancora in fase di definizione.
È la materia plastica più versatile conosciuta, una delle più usate al mondo: spazia dal “vinile” dei dischi di una volta alle grondaie, dai tubi per l’acqua potabile ai cavi elettrici, dalle finestre alla
pellicola per imballi, dai vestiti alle parrucche, dai capannoni industriali alle tensostrutture e alle coperture dei tir.
È il PVC, sigla di polimero del cloruro di vinile (o polivinilcloruro), formula chimica (CH2CHCl)n.
Puro, è un materiale rigido; deve la sua versatilità applicativa alla possibilità di essere miscelato anche in proporzioni elevate a composti inorganici e a prodotti plastificanti, che lo rendono flessibile
e modellabile: può essere modellato per stampaggio a caldo nelle forme desiderate, estruso, calandrato, oppure ridotto a liquido per la spalmatura di tessuti, superfici, serbatoi, valvole,
rubinetti, vasche e fibre tessili artificiali.
Viene considerato stabile e sicuro nelle applicazioni tecnologiche a temperatura ambiente, ma estremamente pericoloso se bruciato o scaldato a elevate temperature, per via della presenza
di cloro nella molecola, che può liberarsi come acido cloridrico. Un uso particolarmente importante del PVC riguarda la fabbricazione dei tubi che vengono utilizzati per il trasporto dell’aria
compressa e di liquidi a uso industriale, fondamentale nel settore agricolo e alimentare, ma usato anche in edilizia, automotive, nautica, nella casa e in tutto ciò che attiene alla manutenzione.
Flessibilità e versatilità sono alla base dello straordinario utilizzo dei tubi in PVC, oltre alla loro superficie liscia e alla resistenza alle temperature di esercizio che vanno dai – 5° C e i +60° C, sia
nella versione plastificata con rinforzo in poliestere che in fibra poliestere con strato intermedio collante: questa capacità di resistenza è fondamentale quando si devono trasportare liquidi di raffreddamento, soluzioni chimiche e alimenti liquidi, oltre che l’aria compressa.
La capacità di resistenza alla pressione di un tubo in PVC ha una relazione inversa alla dimensione del diametro, che può variare dai 4 ai 50 mm per quelli che sono destinati all’aria compressa. Nei
tubi in PVC con rinforzo in fibra poliestere e strato intermedio collante, invece, la pressione rimane costante a prescindere dal diametro, ma è la temperatura ad avere influenza.
I tubi per aria compressa – ne esistono diverse tipologie differenti per diametro e lunghezza, oltre che spessore della gomma – possono essere flessibili pur mantenendo le caratteristiche di affidabilità,
durata e sopportazione alla forte pressione. Per fabbricarli occorre seguire una particolare lavorazione, che valuti la gomma che fornisce il rivestimento e le fibre poste all’interno; in particolare
la gomma necessita di un processo di estrusione ad alta pressione e lo stesso tubo deve poi essere immerso nell’acqua fredda, in modo da irrobustirsi in breve tempo.
I tubi in PVC flessibili hanno un notevole campo di impiego, soprattutto nell’industria e nelle officine meccaniche: per esempio i compressori per verniciare le carrozzerie delle auto, in generale tutti i tipi di compressore che hanno bisogno di interventi in sicurezza
e duraturi nel tempo.
Pietro Terna
(Questo testo è stato rielaborato dall’autore e si basa sulla sua comunicazione a un Workshop ICTILO tenutosi a Torino nel settembre 2017).
Il New York Times del 26 febbraio 1928, ha pubblicato su otto colonne, a p.129, il famoso articolo “March of the Machine Makes Idle Hands – La marcia delle macchine rende le mani inutili”, con il sottotitolo “Prevalenza della disoccupazione con punti di produzione industriale notevolmente aumentati a causa dei dispositivi di risparmio del lavoro. ”
Più recentemente, l’Economist (2016) ha ripreso quel titolo aprendo una serie di otto articoli: il titolo del primo articolo, “March of the Machines – La marcia delle macchine”, è preceduto dalla specifica “Intelligenza Artificiale”. Due parole che chiariscono bene la differenza tra la situazione nel 1928 e ai nostri giorni.
Il secondo articolo della serie, intitolato “Il ritorno della domanda sulle macchine”, riprende il titolo del capitolo 31 di “On Machinery” di Ricardo (1821) e anche quello di Marx “The Fragment on Machines”.
Macchine, manodopera e intelligenza artificiale
Citando Ricardo (1821), possiamo facilmente sottolineare il punto chiave:
(rif.31.25) Le affermazioni che ho fatto non spingeranno, spero, a concludere che la macchina non debba essere incoraggiata. Per chiarire il principio, suppongo che macchine di tipo avanzato siano scoperte all’improvviso e ampiamente utilizzate; ma la verità è che queste scoperte sono graduali, e piuttosto operano nel determinare l’impiego del capitale che viene salvato e accumulato, piuttosto che nel dirottare il capitale dal suo effettivo impiego.
Nella prospettiva del lavoro, il problema sta (i) nell’estrema accelerazione della rivoluzione nella produzione e (ii) nella qualità del cambiamento, ora con l’intelligenza delle macchine.
Citando ancora una volta la serie dell’Economist, “Dopo molte false partenze, l’intelligenza artificiale è decollata”.
Eravamo vicini a questa rivoluzione, ma stavamo aspettando computer più potenti e meno costosi per avere la possibilità di un cambio di paradigma: passare da insegnare alla macchina cosa fare, all’insegnarle come imparare! In termini tecnici, il passaggio all’apprendimento automatico e soprattutto a quella parte dell’apprendimento automatico basato su reti neurali artificiali, con il nome di apprendimento profondo.
Per lo specialista nel campo, questa non è la vera intelligenza artificiale; forse hanno ragione, ma la domanda va oltre l’argomento di questa nota. Le nuove macchine in apprendimento possono sostituire i lavoratori, soprattutto perché possono affrontare problemi molto complessi, mostrando comunque intelligenza.
Per ottenere una misura, anche se molto approssimativa, del fenomeno, vedere le Figure 1 e 2. Nella prima, troviamo le installazioni di robot industriali nel triennio 2013-2015. L’auto sta superando la crisi installando oltre 250.000 robot, una cifra enorme.
La figura 2 ci fornisce una proiezione del fenomeno fino al 2019. Considerando le tre aree, nell’ultimo anno verranno installati circa 400 mila robot industriali, principalmente in Asia.
Osservando il ritmo del cambiamento
Lo sviluppo della produzione a livello mondiale ha notevolmente limitato la percezione dell’accelerazione del cambiamento in corso. Questa considerazione è stata vera soprattutto fino all’arrivo della crisi, nel 2008.
In Brynjolfsson e McAfee (2014), rispettivamente direttore e co-direttore dell’Iniziativa MIT sull’economia digitale (http://ide.mit.edu), troviamo materiale di grande interesse in merito al cambiamento in corso. Il problema della concentrazione della ricchezza in poche mani non è nuovo: ora è in una fase di crescita, ma non è di per sé negativo fino a quando anche le persone meno abbienti percepiscono il miglioramento della loro condizione. Invece, quando le persone che vogliono lavoro a tempo pieno lo trovano solo part-time o non lo trovano affatto, è confermato che mentre i benefici delle nuove tecnologie sono reali, non sono sufficienti a compensare il crescente divario tra le situazioni personali. Una tendenza che è solo parzialmente dovuta alla recessione e che, soprattutto, sembra destinata a essere un fenomeno non transitorio.
Il processo accelerato può quindi produrre effetti inaspettati.
In una società che cambia
Quindi, le macchine al posto dei lavoratori, in campi nuovi e sorprendenti. E il lavoro?
Dobbiamo chiederci: siamo condannati inevitabilmente al lavoro?
Tutto cambierà, ma le fasi in cui il cambiamento accelera sono le più difficili per le persone. Se le macchine ci sostituiscono in un lavoro ingrato e noioso, è certamente una buona cosa. La persona sostituita, tuttavia, perde il lavoro; lui / lei può trovarne uno migliore. Ma se allo stesso tempo ci sono molte persone che perdono il lavoro e pochissime ne trovano uno nuovo, servono forme affidabili di protezione sociale. Se il quadro è che ci sarà sempre meno lavoro, abbiamo bisogno di un ripensamento completo dell’organizzazione della società, rendendo i periodi di transizione meno traumatici.
Cosa fare?
Tassare i robot, come proposto dal fondatore di Microsoft, Bill Gates, (varie notizie all’inizio del 2017 gli attribuiscono questa proposta) è un modo riduttivo per affrontare il problema, forse una soluzione temporanea, certamente non una scelta strutturale.
Per un economista, tassare i robot equivale a tassare il capitale, che è del tutto legittimo, ma ora siamo in una prospettiva di una vera rivoluzione copernicana. Dobbiamo immaginare qualcosa di completamente diverso.
Gli psicologi sono inorriditi quando un economista afferma che il lavoro sarà per pochi e ad un ritmo molto diverso da quelli attuali. Il lavoro come fonte di relazioni sociali e soddisfazione personale è profondamente connesso allo stile di vita che quasi tutti considerano positivo e naturale. Non ho dubbi sulla necessità di relazioni sociali, ma dobbiamo lavorare per questo?
Una prospettiva estrema (ma, forse, non così estrema)
Come potrò avere un reddito se non lavoro, ma dovrò comunque acquistare i beni necessari? Al centro della risposta, abbiamo un’altra domanda: chi produrrà i beni necessari? Se i robot produrranno quasi tutto e i robot produrranno anche nuovi robot, chi sarà il loro proprietario e quindi il proprietario dei beni risultanti? Ora è difficile immaginare questa trasformazione e vediamo in prospettiva una sequenza infinita di ostacoli generati dalle varie fasi di transizione.
La scienza deve essere consapevole che non sarà possibile eludere quel problema, cercando di conciliare le tensioni con i rimedi ispirati al benessere, agendo sul reddito di cittadinanza. È necessario creare nuove basi per regolare la partecipazione alla vita collettiva, dato che la maggior parte del lavoro sarà svolto da macchine e computer. E non sarà facile decidere chi dovrà dare loro gli ordini.
La domanda centrale è esattamente l’ultima: capire chi darà gli ordini ai robot (e chi sarà il loro proprietario, che è un corollario non irrilevante). Se ti occupi di questo punto, tutto il resto diventa secondario. Se i robot producono robot e sono proprietà collettiva, i beni e i servizi prodotti in questo modo saranno straordinariamente abbondanti. I prezzi tenderanno a scomparire, il denaro non sarà più necessario. Eliminando il denaro e i conti, molti altri lavori, probabilmente sopravvissuti ai robot, non avranno più motivo di esistere.
Immaginare il mondo senza soldi può sembrare vicino alla stravaganza o alla follia: è invece il design di una nuova società che ha superato sia la povertà sia i conflitti correlati, ed è più protettiva e rispettosa delle persone.
Obiezione: senza prezzi e senza i profitti della rete di distribuzione e produzione, come determinare cosa produrre e per chi? L’enorme difficoltà della pianificazione economica ha portato al collasso dell’Unione Sovietica. I sistemi informatici e i dati disponibili erano inadeguati e paradossalmente era più facile pianificare l’orbita dello Sputnik piuttosto che calcolare quante calze produrre per ogni area in un paese immenso. Ora, con strutture di calcolo super-sofisticate e con big-data, Amazon e i suoi (pochi) concorrenti sanno come rifornire continuamente i magazzini decentrati, riducendo al minimo le scorte, ma assicurando le consegne per lo più in ventiquattro ore.
Il pieno cambiamento può richiedere venti o cinquanta anni circa; l’effetto apparentemente negativo delle macchine intelligenti sulla società, con sovraproduzioni e posti di lavoro mancanti, sta manifestando i suoi effetti ora, nella prima parte del 21 ° secolo. Le soluzioni temporanee sono legate alle formule di tassazione del reddito per le persone con un determinato livello di reddito, ma non possiamo gestire questa transizione se non abbiamo chiare le conseguenze a lungo termine indicate qui.
Bibliografia
Brynjolfsson, E. and McAfee, A. (2014). The second machine age: Work, progress, and prosperity in a time of brilliant technologies. New York: W.W.Norton & Co. Ricardo, D. (1821). On the Principles of Political Economy and Taxation. London: John Murray, third edition (first edition: 1817). Online at http://www.econlib.org/library/Ricardo/ricP.html Krugman, P. (2017). Maid In America. Online at https://krugman.blogs.nytimes.com/2017/02/24/maid-in-america/
Elsa Fornero (University of Turin and Collegio Carlo Alberto) Ivan Lagrosa (Bocconi University & IGIER)
La complessa relazione tra sistema pensionistico e mercato del lavoro
Le riforme previdenziali incentrate sull’aumento dell’età di pensionamento sono spesso state accompagnate da forti critiche e preoccupazioni circa il loro possibile impatto sull’occupazione, in particolare dei giovani e delle donne. Sia la logica economica sia i dati mostrano, però, come questi timori non siano necessariamente fondati e come siano invece opportune politiche volte a dare sostenibilità al sistema! pensionistico non soltanto attraverso formule di maggiore equità entro e tra le generazioni, ma anche attraverso misure atte a rendere il mercato del lavoro più inclusivo e dinamico.
Demografia, crescita economica e innovazione: un contesto di relazioni complesse
Il progresso nelle condizioni di salute, l’aumento della speranza di vita e la forte caduta nei tassi di natalità hanno determinato una transizione demografica che sta portando a una parziale inversione della piramide per età della popolazione: pochi giovani alla base e un numero sempre maggiore di anziani al vertice [Figura 1].
Il fenomeno non riguarda ovviamente solo il nostro Paese: secondo stime dell’Eurostat, nel 2080 la quota di popolazione europea compresa tra i 15 e i 64 anni passerà dagli attuali due terzi a poco più della metà, a vantaggio della quota di persone con più di 64 anni, che raggiungerà invece il 28,1 per cento1.
Se da una parte i cambiamenti demografici rimodellano la nostra società mettendo in primo piano i problemi che riguardano i rapporti tra le generazioni e i fenomeni migratori, dall’altra i bassi tassi di crescita economica aggravano il problema demografico, rendendo più difficile il finanziamento di prestazioni promesse in anni in cui tutto sembrava dover prosperare senza fine. Da qui, se restringiamo il campo al mondo delle pensioni, l’urgenza e la necessità di riforme strutturali che migliorino l’interazione tra il mercato del lavoro e il sistema previdenziale, attraverso l’aumento dei tassi di partecipazione e l’investimento in capitale umano, ossia in capacità e conoscenze necessarie per la crescita della produttività. In un contesto di forte innovazione tecnologica, proprio il tema delle competenze risulterà infatti cruciale per garantire buoni percorsi lavorativi e, quindi, adeguate prestazioni previdenziali. Investimenti nel sistema formativo e, in particolare, in meccanismi di formazione continua saranno più che mai necessari per fornire ai lavoratori le competenze richieste da un mercato del lavoro in continua – e sempre più rapida – evoluzione.
Mercato del lavoro e sistema previdenziale
Con l’introduzione del metodo contributivo di calcolo della prestazione pensionistica, in mancanza di una buona vita lavorativa – in termini di qualità e continuità – è impossibile maturare una buona pensione. Da questa considerazione derivano due conseguenze importanti: l’azione politica deve, da una parte, concentrarsi prioritariamente sulle condizioni che favoriscono l’occupazione del maggior numero possibile di persone e, dall’altra, assistere coloro che, raggiunta l’età di pensionamento, portano in dote un percorso lavorativo sfortunato e pertanto una “ricchezza pensionistica” insufficiente a finanziare una pensione adeguata. La relazione tra sistema pensionistico e mercato del lavoro è pertanto binaria: un buon mercato del lavoro, inclusivo e dinamico, costituisce il miglior presupposto per ottenere poi pensioni adeguate; e un buon sistema pensionistico non deve penalizza il lavoro, rendendo conveniente l’uscita anticipata (pensione di anzianità) ma anzi deve incoraggiare l’occupazione, ovviamente di persone in buona condizione fisica.
Sul fronte del mercato del lavoro, una delle maggiori difficoltà riguarda oggi la precarietà lavorativa e di reddito dei giovani, la quale richiede anzitutto interventi sui processi di formazione scolastici ed extra-scolastici, e misure atte a far funzionare le diverse misure di accompagnamento, di integrazione e di attivazione già previste dal sistema.
Sul versante opposto, le difficoltà occupazionali dei più anziani rischiano invece di vanificare l’effetto dell’aumento dell’età di pensionamento sull’estensione della vita lavorativa. Programmi di formazione specificamente diretti a questa classe di età, allargamento delle opzioni di lavoro a tempo parziale e (perché no?) occasionale ma regolare, prestiti pensionistici e, ancora, contributi figurativi rappresentano una batteria di strumenti perfettamente integrabili nel sistema pensionistico contributivo.
Lavorare di meno per lavorare tutti?
Al di là dei cambiamenti nelle formule pensionistiche – da quelle retributive a quelle contributive – le dinamiche demografiche degli ultimi decenni hanno costretto numerosi Paesi OCSE ad innalzare l’età di pensionamento, con il fine di rendere i rispettivi sistemi di previdenza sostenibili nel tempo. Simili interventi di adeguamento sono spesso stati accompagnati, in Italia come all’estero, da forti preoccupazioni circa il loro possibile impatto sul versante occupazionale, in particolare con uno sguardo rivolto ai giovani. Affinché una prolungata permanenza sul posto di lavoro degli anziani possa però ripercuotersi negativamente sulle opportunità di impiego dei più giovani occorre, da una parte, che i posti di lavoro offerti da un mercato siano considerabili come fissi nel tempo – una sorta di dotazione a somma zero – e che, dall’altra, giovani e anziani possano essere facilmente sostituiti sul loro posto di lavoro.
La logica che ha condotto l’Italia – e molti altri paesi europei – ad abbassare l’età effettiva di pensionamento fino quasi alla metà degli Anni ’90 del secolo scorso, nonostante i ripetuti allarmi sulla sostenibilità dei sistemi previdenziali, è nota in economia come l’errore del numero fisso di posti di lavoro: se gli anziani restano in attività -si sostiene- vi sono meno posti per i giovani. Per conseguenza si considera opportuno, socialmente oltre che individualmente, promuovere il pensionamento anticipato in modo da fare largo ai giovani.
Si tratta però di una logica che non ha fondamento nella teoria economica e che trova scarso riscontro nei dati. L’impostazione del numero fisso di posti di lavoro da suddividere tra i lavoratori va infatti rovesciata per domandarsi quali siano le caratteristiche di un mercato del lavoro inclusivo e dinamico e quali siano le politiche in grado di incentivarlo. Sotto il profilo empirico, l’osservazione dei dati mostra come i Paesi nei quali i tassi di attività degli anziani sono più alti, sono anche quelli con i più alti tassi di occupazione dei giovani e delle donne. Anche se in economia non esistono regole ferree, Gruber, Milligan e Wise scrivono che «non c’è alcuna prova che indurre i lavoratori anziani a uscire dal mercato del lavoro renda disponibili posti di lavoro per i giovani. Semmai, è vero il contrario; pagare perché un lavoratore anziano esca dalla forza lavoro riduce il tasso di occupazione e accresce il tasso di disoccupazione dei giovani e dei lavoratori con pochi anni di anzianità». Ancora più convincente è l’evidenza fornita dalla relazione positiva tra la creazione di nuovi posti di lavoro rispettivamente per i giovani e per gli anziani [Figure 2 e 3]. Se vi fosse un meccanismo di sostituzione all’aumento degli uni corrisponderebbe una riduzione degli altri. Se crescono insieme vuol dire che altri fattori (per esempio un più basso costo oppure una maggiore flessibilità – non precarietà – del lavoro) sono in grado di determinare la crescita di entrambi.
Naturalmente, ciò che vale in tendenza può non trovare conferma nel breve periodo o in circostanze recessive, quando un aumento dell’età di uscita potrebbe esercitare un effetto negativo sull’occupazione del segmento più debole del mercato del lavoro, oggi rappresentato quasi ovunque – ma in Italia in modo particolarmente accentuato – dai giovani. È questa l’evidenza empirica presentata in un recente studio di T. Boeri, P. Garibaldi ed E. Moen. La ricerca, guardando ai dati Inps sulle dichiarazioni contributive delle imprese con più di 15 dipendenti del settore privato – rimaste attive per tutto il periodo 2008-2014 – suggerisce come la riforma del 2011 abbia comportato un effetto di sostituzione tra l’occupazione dei più anziani e quella dei più giovani, la quale ha conosciuto una riduzione quantificabile in circa 37.000 unità.
Tuttavia, uno studio di Banca d’Italia sui dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat per il periodo 2004-2016, condotto da F. Carta, F. D’Amuri e T.M. Wachter (work in progress, citato nelle Considerazioni Finali del Governatore 2017), di prossima pubblicazione, mostra invece chiari effetti di complementarietà anche nel breve termine: a cavallo della riforma del 2011, nel periodo 2004-2016, la relazione tra la variazione del tasso di occupazione giovanile e la variazione del tasso di occupazione dei più anziani è rimasta infatti positiva; controllando per le condizioni cicliche, all’incremento del numero di lavoratori più anziani (55-69 anni) è quindi corrisposto un incremento, seppur di minor portata, di quelli più giovani (15-34 anni).
Per concludere
Le sfide che attendono le nostre economie nei prossimi decenni si prospettano ampie e complesse: dall’invecchiamento della popolazione a dinamiche di bassa crescita economica, passando per una innovazione tecnologica che andrà a rivoluzionare in maniera profonda il mercato del lavoro. Assicurata, con le riforme, la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, occorre ora indirizzare l’agenda politica verso interventi che agiscano sul fronte occupazionale, per preparare lavoratori e imprese a cogliere le opportunità derivanti dall’utilizzo delle nuove tecnologie, e per proteggere coloro che invece ne risultano danneggiati oggi, nel lavoro e nelle retribuzioni, e domani, nella pensione. Mentre apprendistato, formazione continua e politiche attive efficaci sono strumenti che possono alleviare il problema occupazionale, il versamento, a carico della fiscalità generale, dei contributi per periodi di assenza dal lavoro per disoccupazione o lavoro di cura appare in grado di affrontare il problema pensionistico dei giovani meglio di promesse fatte dai politici senza alcun aggancio alla creazione di nuova ricchezza.
Bibliografia
Il lavoro, nella sua prima parte, contiene una sintesi di argomenti più compiutamente sviluppati in:
Elsa Fornero, Chi ha paura delle riforme, Illusioni, luoghi comuni e verità sulle pensioni, Università Bocconi Editore, 2018.
La parte empirica fa invece riferimento a:
J. Gruber and D. Wise, (eds.) Social security programs and retirement around the word. The relationship to youth employment, The University of Chicago Press, 2010
T. Boeri, P. Garibaldi ed E. Moen, A clash of generations? Increase in Retirement Age and Labor Demand for Youth, http://www.reforming.it/doc/931/workinps-papers.pdf