Editoriale – numero 78 – 2020
La speranza che tutti avevamo è che a questo punto si potesse intravvedere la fine dell’emergenza e che si potesse iniziare a parlare di nuovo di una possibile ripresa e delle tappe necessarie per renderla stabile.
Invece, siamo ancora a parlare di lock-down, più o meno rigidi, e di una situazione che in tutta Europa alterna brevi periodi di regresso a lunghe, oscure, settimane di pandemia in fase crescente, con numeri spaventosi legati soprattutto alle vittime, sistemi sanitari al collasso, medici, infermieri e operatori della sanità esausti.
Ci eravamo dati convintamente appuntamento alla Tube Düsseldorf, convinti che lo spostamento a dicembre fosse ragionevolmente garanzia che la fiera si sarebbe svolta regolarmente. Invece, eccoci qui orfani della principale manifestazione del settore, a darci appuntamento a un 2022 che sembra lontanissimo e quasi irreale, invece è dietro l’angolo.
Mancano pochi mesi, poi si tornerà a parlare di acquistare spazi, di programmi, di calendari di eventi, di metri quadrati di superficie espositiva, di appuntamenti. Soprattutto, si parlerà di chi ci sarà e chi no, intendendo però non soltanto chi sarà presente in fiera, ma chi si sarà salvato da questa drammatica pandemia che tante vittime ha mietuto fra la popolazione ma che altrettante minaccia di mieterne nei vari comparti dell’economia.
Fino ad ora gli incentivi statali, erogati in ogni paese in forme diverse, unitamente al divieto di effettuare licenziamenti, anche in questo caso operativo in forme differenti in molti stati dell’UE, hanno anestetizzato una situazione che rischia di diventare esplosiva con l’inizio dell’anno. In molti settori, oltre alla crisi della domanda in Europa, si sente anche molto l’effetto della concorrenza di altri Paesi ove la pandemia ha avuto effetti infinitamente meno gravi, basti pensare alla Cina dove, oltre al focolaio iniziale, non si sono avute ondate di ritorno se non minime, mentre in Europa la seconda ondata rischia di essere addirittura peggiore della prima.
In molti ambiti si stanno sperimentando anche soluzioni innovative. In ossequio al motto di Keynes del “lavorare meno, lavorare tutti” anche alcuni colossi mondiali del calibro di Microsoft e Unilever stanno sperimentando la settimana corta, manifestando addirittura soddisfazione per la produttività dei dipendenti che pare sia aumentata. Alcuni governi nazionali, non ultima la Nuova Zelanda la cui giovane premier ha ventilato, en-passant, la possibilità di introdurre giornate festive per arrivare alla settimana corta di stato, si stanno interessando a questa possibilità per perseguire l’obiettivo di reintegrare i posti persi con le misure anti-Covid. Insomma, dove non arriva la rivoluzione di Industria 4.0, potrebbe arrivare la pandemia: non si sa se ci sia da rallegrarsene…